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Quando pensare diventa un tabù

  • Andrea Mattei
  • 15 nov 2016
  • Tempo di lettura: 2 min

Nei primi anni del '900, Henry Ford introdusse nelle sue fabbriche il processo della "catena di montaggio": movimenti rapidi e meccanici tramite i quali gli operai producevano più materiale nel minor tempo possibile. Tristemente, questo ci ricorda quello che accade in molte scuole al giorno d'oggi: studenti che, meccanicamente, prendono la penna, scribacchiano e alzano la testa a intervalli regolari (giusto per far capire all'insegnante che sono ancora vivi). Vivere in questa "fabbrica del sapere" ha, però, un drammatico riscontro non appena ci affacciamo al mondo reale: eh si, perché, se non ci informiamo da soli, il mondo attorno a noi resta un'incognita. Un qualcosa di misterioso oppure, nel peggiore dei casi, qualcosa di cui "non ce ne frega nulla", senza contare che poi siamo noi a dover pagare le conseguenze di quello che succede.

Ma allora, che razza di individui possiamo pretendere di diventare? Come possiamo pretendere di definirci individui educati se tanti argomenti non ci vengono introdotti? Si sa, esistono al mondo degli argomenti che nelle scuole "è meglio lasciar stare", dei tabù potremmo dire. Paradossalmente la scuola, che dovrebbe essere una delle prime a guidarci nella nostra vita, sembra preferirci disinteressati, apatici, ignoranti. Ci preferisce macchine piuttosto che persone. E allora andiamo avanti per la nostra strada, credendo magari a cose sapute per un vago "sentito dire", o perché un qualcuno dall'animo convincente ci fa sembrare ragionevole il suo pensiero (ne è un esempio la Brexit, in Inghilterra: il giorno dopo l'approvazione di quella legge, le principali ricerche fatte dai cittadini inglesi online erano "Cosa è la Brexit?" o "Cosa è l'UE?") . Ma noi, noi per primi, non ci mettiamo mai in gioco. Dove troviamo una discussione che ci permetta di confrontarci anche con chi la pensa diversamente da noi, garantendoci la possibilità di elaborare un pensiero tutto nostro? Dove troviamo il ruolo della scuola come "maestra di vita"? Finché saremo macchine in grado di dire che Leopardi non era un depresso piagnucolone o la differenza tra un alcano ed un alchino possiamo essere contenti per aver portato a casa il voto che fa felici i nostri genitori. Ma dentro di noi, se usciamo da questo ciclo continuo, sentiamo il bisogno di sapere di più. Sentiamo il bisogno di avere un'idea. Sentiamo il bisogno di avere una scuola aperta alla discussione, al confronto, al dibattito, alla creazione di una propria idea, di un pensiero autonomo, toccando anche argomenti che, seppur scottanti, sono fondamentali alla formazione dell'individuo. Una scuola che non cambia, che non si rinnova, che non porta faccia a faccia la gente con la realtà di tutti i giorni, piano piano decade, e diventa un po' come quei nonni brontoloni che basano ogni loro giudizio sulla realtà di cinquant'anni fa. La discussione da sempre ha portato ad elaborare pensieri, facendo fare al mondo scelte importanti, decisive e fondamentali, perché abolirla proprio ora? Dante metteva gli ignavi nell'antinferno: coloro che non erano stati in grado di prendere una decisione nella loro vita, facevano schifo pure a Satana. Allora a questo punto all'inferno andiamoci per altro, visto che ne siamo tutti capacissimi.

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